Quella notte fu molto agitata.
Nel sogno, più che altro, egli viaggiò molto e tornò in un posto che visitava spesso.
Sembrava che in realtà, sognando, si trovava sempre negli stessi luoghi.
Le situazioni che egli viveva sognando, erano sempre le stesse.
Sempre lì, con gente diversa, forse, ma sempre lì.
Mura di pietra ne caratterizzavano il cammino in un paesaggio reale e fantastico allo stesso tempo.
Alte costruzioni, come in una città d’altri tempi, perfezionavano la vista del viaggiatore sprovveduto
disperso nel tempo dei suoi desideri più nascosti e mal celati da una volontà che tardava a sparire.
Qualcosa non tornava alla mente del viaggiatore, qualcosa strideva con la sua logicità consueta
perché nonostante le situazioni si svolgessero tranquillamente, con naturalezza quasi reale, egli
avvertiva sempre che c’erano circostanze non contemplate.
Camminava tra le mura di pietra, cercando di risolvere sé stesso, aveva qualcosa da sistemare
qualche spiaggia da visitare, non lontano da lì, diversi posti da non lasciare e quelle pietre dorate
affascinavano il suo sguardo.
Pensava sempre, camminando, che la soluzione era vicina ma la paura, quella, non l’abbandonava
nemmeno in sogno.
Nel sogno gli capitava di incontrare molte persone della sua vita reale e mentre era li con loro,
cercando di vivere lì quello che non poteva vivere davvero, si spaventava quando la sua parte
ancora pensante, ma sopita, con prepotenza lo richiamava.
Ma lui insisteva e camminava ancora, forse correva, aveva un aereo da prendere, era in ritardo, ma
doveva visitare quella spiaggia lì, in quel paese dorato, che poi era straniero e subito era casa sua,
insieme, come a significare che tutti noi siamo stranieri e paesani allo stesso tempo.
Lo siamo per noi stessi e per gli altri, allo stesso modo ed allo stesso tempo.
Tra le mura dorate di quella città, temporanea per la realtà ma eterna per lo spirito, sentiva ancora
quel senso di dubbio che lo attanagliava realmente e mentre parlava e viveva, di notte, tra le sue
mura conosciute e quindi confortanti, con la gente che aveva condiviso pezzetti della sua esistenza
pensieri tarlosi ne rovinavano la permanenza.
Questi gli suggerivano che il dubbio era presente e non voleva andarsene perché era lui che non lo
mandava via.
D’altra parte chi non dubita non sa, si ripeteva affaticato da quei pensieri.
Ma quanto era bella quella permanenza temporanea, ma frequente, che gli permetteva, seppure con
tormento, quelle cose che non gli era permesso di vivere.
Camminava tra le mura di pietra, aveva un aereo da prendere, parlava di sé e di quella città con
l’amico più caro, con il paesano, con suo fratello, ma lo strato di nubi che difendeva la realtà
temporanea dalla realtà suprema già iniziava a sparire.
Sempre più denso diventava il senso del reale, e l’odore di pioggia, ma prima di andare via guardava
ancora un po’ verso l’orizzonte rosso e splendente, verso le mura alte e dorate, verso quella spiaggia
lontana che non aveva visitato, verso quella libertà che aveva il potere di determinare in quella
dimensione nascosta e privata.
Poi la pioggia divenne assillante, assieme a lei, la sua voce:
– Sono qui, con te! Diceva lei accarezzandogli il viso.